Stamane siamo diretti a Nara, l’antica capitale del Giappone, dobbiamo dire addio al quartiere di Hamamatsucho che un po’ era entrato nel mio cuore, con la sua calma mattutina e l’ordinato brulicare di genti alla sera.
L’ungo le piccole stradine laterali del quartiere osservo un anziano signore che con un bastone e gesti lentissimi taglia e rimuove parti di rampicanti che ricoprono la parete esterna del suo negozio. E’ basso ed un po’ curvo su se stesso, porta una tuta ed un cappellino americano che lo ripara dagli sporadici raggi del sole che si infiltrano nel vicolo.
I suoi gesti sembrano essere ormai collaudati da tempo, un processo che avrà ripetuto ormai infinite volte nei mesi caldi e che padroneggia a perfezione.
Non ci provo neanche ad augurargli il buongiorno, tanto so che non risponderebbe, lo supero trascinando il pesante e rumoroso trolley sull’asfalto perfetto, mentre mi domando quale malsana idea ci abbia spinto ad acquistare tutti i regali per amici e parenti nei primi giorni di viaggio.
Per il viaggio prendiamo due nuove bibite dai distributori automatici che sono diventati la nostra droga. Prima della fine del viaggio proveremo tutte le centinaia di bevande possibili.
Questa volta abbiamo scelto una Calpis classica a causa del martellamento psicologico operato sul nostro subconscio da Marco Togni nei suoi video sul Giappone ed un succo di frutta della Minute maid al gusto di uva e mirtillo rosso.
Il succo di frutta è ottimo ma la Calpis è veramente qualcosa di speciale, ha un gusto fresco indescrivibile, un incrocio tra una bevanda al limone ed un’ orzata con una consistenza lattosa, quasi vellutata, qualcosa che non si può descrivere ma va provata.
Non abbiamo preso un Bentoper il viaggio anche se qui sul treno ho notato che ne hanno tutti uno, le famiglie in viaggio, gli impiegati e perfino tutti gli anziani.
sullo Shinkansen se stai dormendo non ti svegliano per controllare il biglietto, si segnano il posto e ripassano più tardi quando sarete svegli, non si sognerebbero mai di disturbare un cliente e nessun cliente farebbe finta di dormire per non pagare il biglietto.
Le porte di accesso ai treni sono tutte a livello con la banchina, in modo che chi deve salire e scendere non deve ammazzarsi con le valige in pratiche di sollevamenti pesi, in questo modo si riescono anche a ridurre le code in salita e discesa dal treno.
Quando in stazione c’è una persona in carrozzella subito un addetto delle ferrovie accorre a spingere la carrozzella ed accompagnare la persona fin sopra il treno.
Se invece siete sbadati e vi casca qualche oggetto sui binari, c’è un addetto con apposita staffa uncinata, pronto a recuperarlo per voi.
Tutte queste piccole cose e molte altre sono il segno di un paese profondamente civile che non ha poi molti anni di storia più del nostri ma evidentemente si è evoluto meglio.
Prima di arrivare a destinazione faccio un salto in bagno e rimango sorpreso di trovare la vecchia turca giapponese, quella in metallo con il capolino davanti. E’ molto scomoda e ci vogliono gambe allenate per tenersi in equilibrio ma è un’esperienza che volevo fare fin da quando li vedevo disegnati sui manga.
Dal veloce treno
Shinkansen ci trasferiamo su un regionale per Nara, con ampie vetrate ed un incedere deciso lungo un paesaggio fantastico.
I grattacieli sono spariti e quelli che incrociamo sono piccoli paesini con casette basse dai tetti spioventi.
Ogni casetta é dotata di un piccolo giardino dove molti coltivano l’orto. Ci sono panni stesi ovunque è bacinelle colorate abbandonate a caso.
E’ uno di quei posti in cui mi piacerebbe vivere, lontano dalla realtà ordinata delle città, dove potrei al mattino andare a fare la spesa a piedi o in bici scambiando quattro chiacchiere con tutti i vicini incontrati per strada.
In stazione a Nara ci facciamo una foto con la simpatica mascotte cornuta, qui le scale mobili sembrano andare più piano e nessuno si sposta al lato per far passare chi va di fretta, mi viene in mente che forse qui nessuno abbia fretta di andare o tornare.
Girovaghiamo per le piccole stradine dagli edifici bassi in cerca del nostro hotel quando un impiegato con la sua borsa nera e le scarpe laccate cattura la nostra attenzione esibendosi in un sonoro rutto.
Lo guardiamo per un attimo sorpresi ma poi lui non sembra curarsene più di tanto, così continuiamo ed andiamo a posare le valige in camera.
Al primo conbini che troviamo, ci infiliamo per fare la spesa, e pieno di anziani che si avvicinano al centenario e nessuno sembra conoscere l’ansia o la fretta. Vivono in una reale pace e tranquillità e si spostavano in bici con una lentezza irreale.
Gli animali a Nara sono rabbiosi ed affamati, le tartarughe si avvicinano perché hanno fame, i colombi ti circondano beccandosi tra di loro per contendersi le vostre briciole. Seduti in riva al laghetto, consumiamo il nostro cibo, delle polpette di carne fritte buonissime e dei maki del conbini la cui corretta apertura ci sfugge. Tanto che decidiamo di girare questo video per mostrare qual è il modo sbagliato di aprirli.
Salite le scale che dal lago portano ad i templi, ci imbattiamo in una piccola pagoda ed una serie di statue raffiguranti alcune divinità con tanto di bavaglino rosso.
Davanti ad alcune di esse notiamo delle tazze di sakè lasciate aperte come dono.
La zona dei templi è vastissima e ci sono molti templi da vedere, tra cui un’antica e bellissima pagoda che armonizza la scena rendendola unica.
E qui che per la prima volta incontriamo i cervi, tanti cervi di taglia media che si aggirano con noncuranza tra la gente.
Alcuni bambini provano a giocarci ma loro non sembrano essere troppo interessati, sono più orientati alla ricerca di cibo e a riposare sotto gli alberi.
Proviamo a farci qualche foto con loro ma no reagiscono bene, si allontanano con noncuranza.
Non ci mettiamo a visitare tutti i templi che incontriamo perché dopo un po’ i templi minori cominciano a somigliarsi un po’ troppo tra loro, al punto da generare nei nostri ricordi una gran confusione.
La cosa più bella da vedere nel piazzale superiore è l’antica pagoda. I suoi legni scuri sono impregnati del tempo che è passato ma la sua imponenza sul paesaggio è ancora intatta.
Purtroppo non è possibile entrarci dentro, si può solo ammirarne l’aspetto esteriore.
Per conquistare l’attenzione di tutti questi Bamby decidiamo di comprare dei biscotti per cervi da una bancarella, dopo aver letto il cartello di avvertimento che ci mette in guardia dai cervi ladri e da quelli con le corna che potrebbero essere pericolosi.
I cervi devono avere un grande olfatto perché appena Simona ritira il pacchetto con i biscotti la circondano in massa.
La sento che da brava maestra prova a spiegare ai cervi di stare calmi che tanto ci sono biscotti per tutti ma dopo un po’ mi accorgo della situazione di panico in cui si trova.
Io divertito scatto foto e giro un video mentre Simona scappa inseguita dai cervi che cercano di rubarle i biscotti infilando il muso ovunque, perfino nella borsa e sotto la maglia.
Dopo un po’ la sento imprecare contro i cervi perché uno di loro gli aveva dato un morso sulla pancia.
Quando ci liberiamo della morsa dei cervi andiamo a vedere il tempio
Todaiji.
Già l’antico portale alto quanto un palazzo ci fa capire che si tratta di un tempio imponente ma quando raggiungiamo l’edificio del tempio restiamo senza parole. E’ qualcosa di immensamente grande ed è tutto costruito in legno.
Dal secondo portale tra le due statue guardiane c’è un braciere di purificazione coni incensi, da li parte un corridoio lastricato enorme che porta fino al tempio. Le persone rispetto al tempio sembrano tante piccole formiche che si muovono in maniera casuale.
Per non disturbare nessuno proviamo da soli a farci un autoscatto e come per magia ne viene fuori una magnifica foto ricordo da incorniciare.
Esternamente il tempio è molto semplice, bianco con una serie di fasciature in legno, c’è un enorme tetto spiovente a due livelli ed è sormontato da due corni dorati.
Si tratta dell’edificio in legno più grande al mondo ancora esistente.
Appena si varca la soglia di uno dei tre ingressi principali al tempio e gli occhi si abituano alla scarna luminosità ci si accorge di un Buddha gigante seduto al centro del tempio con il palmo della mano rivolto verso l’ingresso.
A prima vista non sembra così grande, forse perché il suo colore bronzeo lo nasconde un po’ nella penombra del tempio ma quando si osserva da vicino uno dei piccoli Buddha dorati che formano un semicerchio sopra il grande Buddha e ci si rende conto che solo uno di quello è molto più grande di una persona, si riesce a percepire l’immensità di quella imponente ed immutabile statua.
Ai lati nel tempio si possono ammirare altre due fantastiche ed enormi statue in legno, una delle quali però manca per motivi di restauro.
Mentre ammiriamo stupefatti la bellezza dei soffitti in legno, notiamo delle persone che strisciando per terra si infilano in un buco alla base di una delle gigantesche colonne del tempio.
Si tratta di un buco della stessa dimensione della narice del Buddha e la leggenda dice che chi riesce a passarci attraverso, riceve l’illuminazione e la benedizione per la vita futura.
Con un’attenta valutazione ad occhio capisco che né io né Simona possiamo provare a passare in quel buco e quindi lascio che siano i bambini e le persone molto magre a beneficiare di questa benedizione.
Dal tempio ci spostiamo fino al parco di Nara, non è molto lontano e si può fare tutto tranquillamente a piedi, i cervi continuano a seguirci ed importunare sopratutto Simona, in cerca di biscotti o altri oggetti da rubare.
Attenti alle mappe che gli piacciono parecchio!
Il caldo non ci offre nemmeno una tregua, il sole è alto nel cielo e non c’è neanche una nuvola a regalarci un po’ di ombra.
Decidiamo di visitare i due più famosi giardini di Nara, Isuien e Yoshikien.
Si trovano oltre il parco dall’altro lato della strada e sono praticamente attaccati uno all’altro.
Chiaramente li visitiamo entrambi nonostante la fame ed il caldo ci abbia fatto sudare anche l’anima, potrei togliermi gli indumenti intimi e strizzarli come se avessi fatto un bagno al mare.
I giardini sono di una bellezza indescrivibile, la natura è stata piegata dal volere dell’uomo per mostrare una visione artificiale ma allo stesso tempo naturale e rilassante che non troverete in nessun altro tipo di giardino al mondo.
La pace che trasmette un giardino giapponese è paragonabile solo a quella di un mare calmo in una spiaggia disabitata al pomeriggio d’estate, è qualcosa che ti entra dentro e ti riempie il cuore di serenità. Se avessi la fortuna di avere un giardino così intorno alla mia casa vivrei ogni pochi attimi, un po’ di eternità.
Con le parole potrei provare a descrivere le carpe colorate che nuotano lente nei laghetti, gli archi di pietra che formano ponti sui cui attraversare le acque, gli alberi colorati che adornano ogni scena ed il rumore assordante delle cicale giapponesi ma forse faccio prima a mostrarvi un video ed alcune delle tante foto che ho scattato in questo mondo perfetto di pace e bellezza.
E’ un peccato che la sala da tè del giardino sia chiusa e che non possiamo assistere ad una vera cerimonia del tè giapponese, è una di quelle esperienze che vorrei riuscire a fare una volta nella vita.
Il caldo e la fame si fanno sentire, così sentiamo il bisogno di andare a rifocillarci un attimo passando in camera.
Sulla strada verso la guesthouse troviamo tantissime bancarelle con il cibo da strada ma Simona mi concede di provare solo un calamaro sullo stecco per 2,50€, è tardi e dobbiamo andare a lavarci per poi uscire a festeggiare il mio compleanno, forse uno dei più belli considerando che per la prima volta in vita mia sono lo festeggerò in Giappone.
Il calamaro è buonissimo come tutti i cibi da strada che ci è capitato di provare qui in Giappone.
Ripassando dal parco noto una cosa buffa, due ragazzi stanno mettendo in posa cinque minuscoli cagnolini con tanto di vestitino per una foto ricordo sulla panchina. E ‘ incredibile quanto questi cagnolini siano educati ed ubbidienti e con una incredibile pazienza aspettino di essere fotografati.
La piccola guesthouse in cui alloggiamo ha delle stanze in stile giapponese con il tatami ed un piccolo bagno dietro una parete di vetro. Al centro della stanza c’è un tavolino basso che verrà spostato nella notte per far posto al futon dove dormiremo.
Chiediamo consiglio alla gentilissima ragazza che gestisce la guesthouse su di un posto carino in cui andare per cena e ci consiglia un ristorante che si chiama Sagami.
Come ringraziamento per l’estrema gentilezza dimostrata, lasciamo alla ragazza un piccolo regalino comprato in Italia. Lei è imbarazzata ma contenta e non ha il coraggio di aprirlo in nostra presenza.
Vi consiglio sempre di portare dei pensierini dall’Italia, li potete usare se andate ospiti a casa di qualcuno oppure potete darli a chi vi da un’informazione o vi aiuta in qualche modo. Le cose italiane sono molto apprezzate, anche dei piccoli souvenir provenienti dalla vostra città.
Il ristorante è carino, in uno stile molto antico, ci fanno accomodare in una specie di saletta privata chiusa da pareti scorrevoli e ci lasciano i menù.
Ci sono tantissime portate singole ma quello che ci colpisce sono dei menù completi con tanti assaggi di cibo diversi tra loro.
Si tratta di un tipo di cucina tradizionale giapponese che si usa nelle occasioni speciali ed è perfetta per festeggiare il mio compleanno.
Quando ci servono tutti i piatti, il tavolo gigante a nostra disposizione viene completamente invaso dal cibo.
Abbiamo la tenpura di gambero, il polipo fritto, i soba freddi, i sottaceti, le alghe al limone, il sukiyaki, il chawanmuchi, i nigiri, il sashimi, il salmone cotto e tanti altri assaggi vari, tutti presentati in maniera molto elegante.
E’ tutto così maledettamente buono e delicato, sapori semplici ma netti che ti riempiono di emozioni e sensazioni piacevoli.
La perfezione del gusto assaporata a piccole dosi e senza mai sentirsi così sazi da perdersi un solo sapore.
Non potevo aspettarmi un compleanno migliore, seduto al tavolo di una vecchia locanda giapponese, in una stradina sconosciuta di Nara, mangiando cibo straordinario.
E’ stato tutto così perfetto che non mi aspettavo di pagare solo 5000yen, l’equivalente al cambio di 40€ in due, comprese bevande. O meglio lo sapevo ma non riuscivo a crederci.
Passeggiando per le oscure vie secondarie di Nara noto una strana cosa ai semafori, la linea di arresto dei semafori si trova molti metri prima dell’incrocio.
Un automobilista quindi, quando deve passare con il semaforo rosso non ha modo di controllare se qualche matto sta passando con il rosso dall’altro lato ed evitarlo, ma poi mi ricordo che siamo in Giappone e che nessuno passerebbe con il rosso e quindi mi rendo conto che non serve vedere le altre strade, basta seguire i coloro del semaforo.
In città si sta tenendo la festa estiva del
Nara Tokae, sui prati e nelle strade nella zona dei templi hanno disposto per strada migliaia di candele accese. Formando di disegni e dei giochi di luce incredibili.
Affrettiamo il nostro passo perché ci siamo resi conto di essere in ritardo.
Ci sono turisti provenienti da ogni parte del Giappone per la fesa è quasi tutti i ragazzi e le ragazze indossano la yukata, il kimono estivo giapponese.
E’ un vero peccato essere arrivati un po’ in ritardo, quando ormai stanno lentamente rimuovendo tutte le candele accese ma comunque riusciamo a godere di parte dello spettacolo.
Le bancarelle ormai hanno chiuso e non possiamo comprare dolciumi e cibo da strada.
Quando la sera smontano negozi e bancarelle, lo fanno ad una velocità spaventosa, basta distrarsi un attimo ed interi negozi illuminati spariscono per sempre nel silenzio e nell’oscurità
Spero ci ricorderemo in futuro di non andare mai a ristorante durante un festival per goderci l’atmosfera ed il cibo da strada.
Dopo aver fatto qualche foto delle candele residue ed un po’ rattristati ce ne torniamo in camera a riposare, attraversando le strade deserte della città in una desolazione crescente fatta di negozi chiusi e strade sempre più buie.
La cosa più luminosa che incontriamo è un addetto ai lavori stradali, qui li fanno di notte per non causare problemi, sono in due più un pupazzo automatico, uno lavora dentro una recinzione, il pupazzo sventola una bandiera di pericolo e l’altro addetto fa cenno ai passanti di passare lontano dal pericolo imminente.
In realtà il vero pericolo è ben lontano da quel tombino in riparazione perché in un vicolo scuro metto un piede in fallo e sprofondo in un antico canale di scolo delle acque fluviali, così rimedio una bella sbucciatura al ginocchio ed ai palmi della mano.