Oggi andiamo a Kobe, non sappiamo ancora bene perché ma l’abbiamo aggiunto nei luoghi da visitare durante il viaggio, forse per la carne così famosa o perché qui abita Noko, una mia carissima amica.
Non avevo mai visto delle spazzine in taieur in vita mia, ma qui in Giappone faccio scopro sempre qualcosa di nuovo e particolare.
Non che l’abito possa rendere un lavoro più o meno dignitoso ma di sicuro per chi osserva, questa è la maniera più elegante che ci sia di pulire le strade.
Salutiamo Osaka con un po’ di dispiacere nel cuore, questa città confusionaria, più rumorosa di Tokyo dove la gente somiglia un po’ agli italiani e si concede anche lo svago di gettare qualche carta per terra.
C’è da dire anche che andare via da qui ha significato salutare anche la mia grande amica Taeko, erano più di 10 anni che non la incontravo di persona e sono felice di averla trovata la stessa persona speciale ed allegra di sempre.
Quando abiti così lontano un saluto può significare non vedersi per anni e questa cosa letteralmente mi sconvolge.
Da quando siamo in viaggio non ho mai visto il monte Fuji e non capisco mai da quale lato del finestrino apparirà improvvisamente durante i nostri spostamenti.
Ancora non ho imparato che non devo fidarmi di Simona quando dice con una certa insistenza che è sicura di una cosa, perché finisce sempre che poi era quella sbagliata.
Così per ben due volte abbiamo sbagliato la stazione della metropolitana in cui scendere a Kobe, nonostante provassi a dirle che forse si stava sbagliando.
Le strade di Kobe sono piene di ristorantini con menù a buffet no limit che partono da 1000 yen, ma quello di cui siamo in cerca oggi è il famoso manzo di Kobe.
Per curiosità facciamo un salto nella piccolissima chinatown che non ha niente a che vedere con quella di New York, si riduce praticamente ad una strada principale ed alcuni vicoletti stretti.
La zona è piena di cibo cinese da asporto dall’aspetto non proprio invitante, decidiamo di provare la cosa più cinese possibile, un panino di sfoglia sottile e croccante ripieno di anatra laccata.
Sfortunatamente però, l’anatra dal panino deve essere volata via da qualche parte, perché praticamente sono solo verdure dal sapore nemmeno troppo gustoso.
E’ vero che il prezzo pagato è stato di soli 500yen (nemmeno 4€) ma almeno potevano sforzarci e metterci qualcosa.
Prima di andare a pranzo facciamo anche un salto in una delle gallerie coperte dello shopping, dove mi accorgo che i prezzi sono decisamente più convenienti di quelli di Tokyo.
Se dovete acquistare dei souvenir, forse questo è il posto ideale per risparmiare un bel po’ di soldi.
Se riuscissi ad esportare tutte queste cose e rivenderle a Roma caricandole anche del 50%, sarei comunque abbondantemente più economico dei vari negozi di oggettistica presenti in città.
Potrei perfino diventare ricco organizzando una buona vendita online.
In un angolo della strada notiamo una coda di persone giapponesi, di solito quando ci sono code ed odore di cibo, è sempre consigliato fermarsi ed aggiungersi alla coda per provare qualcosa di sicuro buono.
Mentre facciamo la fila ci accorgiamo che si tratta di polpette (korokke) fritte di vario tipo.
Per capire cosa c’è dentro basta affidarsi al piccolo disegnino della mucca o del maiale presente in vetrina.
Noi scegliamo quella con la mucca che diventa per noi la famosa polpetta di Kobe.
Dal prezzo veramente ridicolo di 500yen capiamo che non troveremo nella polpetta il famoso manzo di Kobe, ma qualche manzo meno famoso cresciuto da queste parti.
La polpetta è fantastica, si sente un purè di patata ed il sapore della carne, la panatura è veramente eccellente grazie allo speciale pan grattato giapponese che si chiama panko.
Ci ha aperto lo stomaco e quindi e il momento di trovare un ristorante e fare sul serio.
Per andare in bagno facciamo un salto da Mc Donald, l’unico posto in cui mi sarei aspettato di trovare un bagno meno pulito del solito, invece, brilla di luce propria.
Credo che anche volendo non riuscirei a tenere così pulito e profumato nemmeno il bagno di casa mia.
Per mangiare il famoso manzo di Kobe, quello delle mucche accarezzate ogni giorno, che bevono birra e crescono felici nel lusso, mi hanno suggerito un ristorante che sta vicino al ponte della stazione centrale, si chiama steakland.
Lo notiamo subito perché ha una grande insegna penzolante con il disegno di una bistecca dai colori marmorei.
Ci sono bistecche di tutti i prezzi, a partire da 2680yen a persona per finire ai tagli pregiatissimi che costano anche 500€ a bistecca.
Noi scegliamo un taglio di quelli abbordabili ma che sia vero manzo di Kobe, perché alcune bistecche più economiche sono manzi della zona ma non selezionati e speciali.
Prendiamo due lombate speciali di Kobe che costano 5480yen a persona, associate ad un menù completo.
Ci accomodiamo ad un mega tavolo insieme ad altri commensali sconosciuti, al centro dei cuochi maneggiano coltelli e palette facendo saltellare su una piastra enorme incorporata nel tavolo, carni e verdure.
In una ciotola ci servono del brodo di carne invece della solita zuppa di miso, ed una ciotola di riso che qui si usa al posto del pane.
Nel frattempo uno dei cuochi al tavolo comincia a grigliare un po’ di verdure, dei funghi strani ed una gelatina scura e densa che si chiama Konniyaku.
Con una maestria incredibile, taglia, rigira e serve le verdure in tutti i piatti dei commensali al tavolo, usando soltanto delle palette.
Il Konniyaku non è molto saporito ma nemmeno completamente insapore, è una di quelle cose che se immersa in una salsa prende sapore altrimenti resta abbastanza neutra.
Se si considera però il fatto che non ha calorie, può diventare un ottimo alleato delle persone a dieta.
Anche i funghi e le altre verdure sono buone ma il nostro obiettivo è provare la carne leggendaria.
Ogni tanto un altro addetto arriva portando delle fantastiche bistecche che i cuochi poi prendono e cuociono sulla grigia.
In un vassoio ci sono delle patatine sottili e piccolissime che vengono saltate sulla piastra insieme alle fette di carne e servite ai clienti.
Riconosciamo la nostra bistecca quando arriva, perché è diversa dalle altre, il colore è marmoreo e lo spessore di almeno 3/4 centimetri.
Quando la poggia sulla griglia si sparge subito nella sala un odore fantastico che si mischia a quello acre delle patatine.
La cuoce spostandola qui e lì sulla grigia e prima di servirla la taglia in tante striscioline con una facoltà incredibile, non preme mai con il taglio della paletta ma si limita a tirare i pezzi che vengono via da soli, è come se separasse dei blocchi già tagliati ed accostati tra loro.
Appena me la mette nel piatto ho quasi paura a toccarla, vorrei che rimanesse lì in eterno con il suo profumo e la perfezione della sua forma.
Comincio, infatti, prendendo delle patatine che si rivelano non essere tali.
Sono in realtà scaglie sottilissime di aglio, croccanti e saporite che non mi dispiacciono affatto ma potrebbero dispiacere alle persone che incontrerò dopo.
Quando finalmente trovo il coraggio di provare la carne, rimango sconvolto, non è paragonabile a nessun altra carne che abbia mangiato.
Si scioglie in bocca e gioca con tutte le papille gustative della lingua.
E’ tenera e succosa ed il grasso è così è la carne si fondono in un unico sapore che non dimenticherò mai più.
Ci sono delle salse in cui inzupparla prima di mangiarla ma non oso sporcare quel sapore così unico con qualcosa di diverso.
Dopo il pranzo sono così appagato che non ho voglia di provare più niente per un bel po’, me ne starò a crogiolarmi nel ricordo di quel gusto perfetto.
Il sole è troppo alto sulla città nel primo pomeriggio e l’aria è irrespirabile, per la prima volta nel nostro viaggio sentiamo il bisogno di riposare, così decidiamo di passare in camera e riposare un paio d’ore.
Dopo la siesta pomeridiana, prendiamo il treno locale per andare a shin-nagata con l’intenzione di fermarci in zona per la cena.
A shin-nagata raggiungiamo quasi al tramonto, la piazza dove si trova la grande statua di Tetsujin 28, quello che da noi in Italia era conosciuto come super robot 28.
Qui in Giappone in passato è stato un vero mito tra gli appassionati di manga ed anime, oggi un po’ sostituito dalle guerriere Sailor è tutti questi personaggi moderni con pochi robot.
Mentre ammiriamo la statua del robot gigante e felici come due ragazzini ci scattiamo una serie di selfie, mi arriva una telefonata di Noko, che ci avvisa che è rientrata a Kobe dalle sue commissioni ad Osaka, così prendiamo subito un appuntamento per cenare insieme.
La incontriamo in stazione a Sannomiya, proprio vicino al nostro albergo e ci porta a fare shopping nei meandri della stazione che si dirama in profondità nella terra come fosse un formicaio.
Mentre giriamo per i negozi, ci mostra gli oggetti tipici usati dai giapponesi.
Ci fa vedere le mille scatole per il bento, che ci spiega sono usate principalmente dalle mamme moderne e giovani, le bacchette portatili i ventagli tradizionali e delle fasce refrigeranti per il collo, da usare in estate.
Poi ad un certo punto ci porta in un reparto cartoleria e ci mostra una penna cancellabile. Dal suo viso capisco che si aspetta una reazione di stupore ma noi restiamo abbastanza indifferenti.
Così le racconto la storia della penna replay papermate, tanto in voga negli anni 80 in Italia e mi accorgo che questa cosa la stupisce un pochino.
Ci sono anche oggetti strani di cui non riesco a capire l’utilizzo e nemmeno Noko riesce a darmi una spiegazione adeguata, forse perchè non lo sa, oppure perchè potrebbe essere imbarazzante.
Per cena ci porta a mangiare un ramen in un piccolo ristorante sotto la stazione.
Il proprietario è gentile e molto simpatico ed è contento di avere due stranieri a cena.
Chiaramente l’acqua ed il tè sono gratis, ci aggiungiamo un ramen a testa ed una porzione di Gyoza che non devono mancare mai.
Noko prende uno strano ramen al pomodoro e noi uno shoyo classico, non è eccezionale come quello di minato a Tokyo ma si lascia mangiare piacevolmente.
Dopo la cena c’era ancora tempo per una passeggiatina serale e per fare una cosa molto di moda tra i giovani giapponesi, farsi le foto al purikura.
Non so se avete presenti quelle macchinette che da noi qualche anno fa si trovavano nelle sale giochi, con le quali era possibile fare delle mini foto adesive con le cornici colorate come contorno, ora in Giappone ne esiste l’evoluzione.
Queste nuove macchinette riescono a cambiarti la forma degli occhi, il naso, possono trucchetti ed applicare infinite personalizzazioni.
Così in mezzo a gruppi di ragazzine truccate e vestite da bambole del rinascimento, con tanto di parrucche stravaganti e ciglia finte ci siamo scelti la nostra macchina trasformatrice.
Mi sentivo un po’ Tekkaman quando entra dentro Pegaso per effettuare il potenziamento.
Per fortuna che c’era Noko a spiegarci il funzionamento di quella macchina infernale che parlava in giapponese stretto, così siamo riusciti a seguire i vari passaggi ed assumere pose ridicole per tirare fuori il nostro capolavoro.
Prima di accompagnare Noko in stazione decidiamo di andare a bere qualcosa nel locale su di un palazzo molto alto da cui si può guardare il panorama, peccato che sia chiuso, così continuiamo a chiacchierare e passeggiare per strada fino a che non arriva l’ora in cui deve prendere il treno che la porterà in un paesino in campagna lì vicino.
Il momento dei saluti è molto triste, pensare che ci potrebbero volere altri dieci anni per rivederla mi far star male.
Sono quei momenti in cui avresti una grande voglia di piangere ed abbracciarla ma poi non lo fai perché ti ricordi che è giapponese e potrebbe darle fastidio.
Quando si allontana continuiamo a salutarla con la mano fino a che non si volta e scompare tra la gente.
Per distrarci continuiamo a passeggiare e ci fermiamo a comprare un dolce, sono esposti in maniera elegante in una vetrinetta talmente pulita da sembrare invisibile, qui non ci sono bambini curiosi con le dita unte che si appoggiano al vetro e per qualche strano motivo non si vede mai una mosca o una zanzara.
Non è facile scegliere un dolce tra tutti quelli esposti anche perché sono così belli da sembrare finti, decidiamo di prendere una sorta di grande bignè alla panna con fragole.
La gentile ragazza dei dolci appena capisce che tipo di dolce vogliamo comincia ad indicarceli tutti per farci scegliere quello che consideriamo il più appropriato dal punto di vista estetico.
Da noi basterebbe dire vorrei uno di questi, ma in Giappone evidentemente ha importanza la soddisfazione totale del cliente, così scegliamo quello più perfetto tra i perfetti.
Lei si china sotto il bancone e tira fuori una scatola elegante per dolce singolo, in cartone.
Mette il dolce perfettamente al centro della scatola, poi ce la mostra per chiederci un ulteriore conferma e noi per l’ennesima volta gli diciamo che va bene.
Allora prende un sostegno adesivo e fissa il dolce nella scatola per non farlo muovere, poi prende un piccolo ghiacciolino e lo mette su questo sostegno, chiude la scatola, la sigilla, prende una busta di carta piccola ed elegante e mette la scatola dentro, per poi sigillare anche la busta.
A questo punto ci aspettiamo di pagare il dolce una cifra astronomica ma costa meno dei nostri 2€.
Però non ce lo passa dal bancone, esce dal bancone facendo il giro di lato, si avvicina e ci porge la busta con una serie di tre inchini ed altrettanti ringraziamenti.
Decisamente siamo imbarazzati e ci domandiamo se abbiamo fatto qualcosa di particolare per meritarci un simile trattamento.
Lungo la strada Simona comincia ad insistere che vuole mangiare subito il dolce, qui non si potrebbe mangiare per strada tranne in apposite zone dedicate che di solito si trovano adiacenti ai punti vendita ma quando insiste così è meglio accontentarla, così apriamo questa confezione e cominciamo a mangiare il dolce per strada con le mani ed il naso tutti impiastricciati di panna.
Il gusto della panna è troppo burroso per i miei gusti, non sono un amante del burro, quindi decido di lasciare quasi tutto il dolce a Simona che sembra soddisfatta e felice di finirlo da sola.
La notte è ancora giovane qui ma noi una volta rimasti soli, non sappiamo più cosa fare e dove andare così optiamo per un rientro in albergo ed un bel sonno ristoratore.
Prendiamo l’ascensore ed arriviamo al piano, pi ci avviciniamo alla camera e tentiamo con la card magnetica di aprirla ma non sembra voler funzionare.
Dopo il primo, il secondo ed una serie di tentativi Simona un po’ indispettita mi dice di darle la chiave, ci proverà lei.
Lascio che per un po’ continui a giocare con la porta e me ne sto a guardare un po’ in disparte, poi riprendo la chiave e ricomincio i miei tentativi.
Improvvisamente mi passa come un lampo nella mente, il numero della porta e quindi del piano potrebbe essere sbagliato, infatti, cambiando piano riusciamo ad entrare comodamente in camera.
Meno male che non ci ha visto nessuno, chissà cosa avrebbero pensato di due italiani che cercano in tutti i modi di aprire una camera di albergo che non è la loro.