La sveglia ha suonato alle 8:30 mentre dormivamo profondamente come dei ghiri. Il fuso sembra non averci dato troppi problemi, forse grazie alla melatonina presa prima di andare a letto ieri sera.
Stamattina la giornata è iniziata con una colazione alla giapponese, uova pesce, polpette, tè verde e molte altre cose salate che servono qui e che io preferisco alle nostre colazioni dolci.
Alle 9:00 siamo già pronti ed a spasso per il nostro quartiere con meta Asakusa, uno dei quartieri più tradizionali e popolari di Tokyo.
Mentre passeggiamo per le stradine del nostro quartiere, improvvisamente in una via laterale sbuca un grosso tori con una scalinata che porta fino ad un tempio shintoista.
E’ ancora chiuso ma si potevano comprare i centinaia di portafortuna messi a disposizione, inserendo l’apposita cifra nella cassettina delle offerte, una fiducia che in Italia costerebbe care perfino ad un tempio religioso.
Nella galleria del cibo vicino la stazione Hamamatsucho i prezzi sono bassi, i ristoranti ancora chiusi e cuochi e camerieri riposano sulle panche al posto dei clienti. Alcuni sono seduti ai tavolini sembrando veri e propri clienti, chiacchierano, bevono caffè e leggono giornali.
Ci sono una pace ed una tranquillità surreali, come se il tempo si fosse fermato in attesa della tempesta che porterà l’apertura, quando i clienti si fionderanno in massa nei locali, occuperanno gli sgabelli ora vuoti ed animeranno l’atmosfera con un pacato vociare che la sera poi l’alcol renderà più intenso e giocoso.
Sulle scale mobili in stazione devo sempre richiamare Simona, perché dimentica di mettersi a sinistra ostacolando il passaggio di chi ha fretta, forse alla fine del viaggio imparerà a fare attenzione a questi piccoli particolari che in una società cosi civile e precisa sono molto importanti.
Con il nostro Japan rail pass, ci si spalancano le porte di tutte le linee dei trasporti JR nel paese, così mentre migliaia di giapponesi devono fermarsi a fare il biglietto e passare dagli appositi tornelli, noi infiliamo la corsia preferenziale mostrando il nostro sacro totem all’addetto che con un inchino ci indica di passare.
Alla stazione di Ueno però ci tocca fare per la prima volta un biglietto per viaggiare su una linea metropolitana non JR,
Come tutti i comuni mortali dobbiamo fare il biglietto alle macchinette automatiche per poter superare i tornelli.
Non state a preoccuparvi troppo, perché fare il biglietto è semplice. Alla macchinette ci sono molte tabelle che indicano la vostra posizione e tutte quelle in cui potete arrivare. Cercate di trovare la tabella per turisti che è semplificata e scritta in caratteri romanji, trovate la vostra destinazione sulla tabella e ricordatevi il numeretto associato, rappresenta il prezzo in Yen da pagare per percorrere la tratta da voi desiderata.
A questo punto il gioco è fatto, avvicinatevi ad una macchinetta elettronica, scegliete con l’apposito tasto la lingua inglese, premete sul tasto che indica la cifra che dovete pagare, premete il tasto che indica il mumero dei passeggeri ed infilate i soldi nella macchinetta. Non vi servirà nemmeno di contarli, perchè la macchinetta li conterà per voi.
Io lascio sempre cadere una mangiata di monete nell’apposita vaschetta e poi attendo il resto ed il mio biglietto.
La direzione non potete sbagliarla, è sempre indicata sui cartelloni luminosi sotto i quali passerete, e pure le stazioni più importanti di arrivo sono sempre riportate.
Ricordatevi però di di non gettare il biglietto, è necessario per uscire dai tornelli alla fine della vostra corsa metro e per pagare l’integrazione se avete sbagliato a scegliere la cifra o avete cambiato la destinazione durante il viaggio ed ora vi toccherà pagare una differenza direttamnte calcolata dalle macchinette.
Sotto la stazione di Asakusa, in un vecchio corridoio consumato dal tempo e corroso dall’umidità ci sono dei vecchi centri di massaggi, piccole botteghe del ramen e qualche barbiere vecchio stile. A vederli non sembrano attraenti, anzi un po’ spaventano i colori ingialliti dal tempo delle parerti, i vecchi lettini da massaggi macchiati dal tempo, le sedie azzurro vinile dei barbieri e quei poster vintage sui muri che mi riportano alla mente immagini che mi sembravano già passate quando ero bambino,
La puzza di umidità è forte ed in alcuni punti le macchie sul muro sono evidenti tanto da aver corroso i marmi rendendoli quasi neri ma se fosse aperto il piccolo negozietto del venditore di Ramen non resisterei ad ordinarne uno.
Appena saliamo una delle vecchie scalinate di questo cunicolo sotterraneo ci ritroviamo in una galleria che attraversa fino ad incrociare il famoso viale del tempio Sensoji di Asakusa. Un imagine che avrete già visto un migliaio di volte sulle riviste ed i siti web che mostrano foto del Giappone.
La galleria strada è piena di negozi di souvenir, borse, artigiani, venditori di abiti antichi e moderni, ombrellai e naturalmente un infinità di ristoranti.
In uno di questi, immersi in un grande acquario con vista sulla strada, nuotano dei fantastici pesci palla ignari del proprio destino.
Sarebbe bello tornarci un giorno a pranzo per provare questo pesce così prelibato e pericoloso che se viene cucinato male può essere mortale per l’uomo.
Arrivati alla strada del tempio che va dalla famosa porta Kaminatimon fino al tempio, la folla di turisti e pellegrini si è moltiplicata, ormai non si riesce più a muoversi liberamente, bisogna continuamente farsi largo tra la gente, i banchi di souvenir e tutti i negozi di cibo da asporto.
Ci fermiamo varie volte a comprare regalino per gli amici, qualche ventaglio di rara bellezza, dei buonissimi pesci caramellati che volevo provare da tempo e tante altre cose.
Un banco vende dei piccoli spiedini di palline insabbiate da una polverina chiara. Convinco Simona e ne prendiamo qualcuno più un bicchiere di te verde freddo. Per non commettere una scortesia, ci fermiamo a mangiarli in uno spazio apposito di lato al banco.
Sono buoni e poco dolci, una specie di pasta di riso leggermente dolciastra, resa un po’ secca dalla sabbiatura che con quel tè così denso e saporito si sposano alla perfezione.
Un tè così buono non l’avevo mai provato in vita mia, dovrò fare il possibile per provare tutti i tè giapponesi che troverò nel nostri viaggio.
Dopo aver speso un centinaio di euro e fatto decine di foto e qualche minuto di video, arriviamo alla zona dei templi.
La zona del tempio Sensoji è favolosa, piena di giardini, e tempietti minori, di cui uno shintoista sul lato destro in cui troviamo un matrimonio tradizionale che con molta discrezione provo a fotografare. Sembrano tutti felici e molto sereni nei loro eleganti abiti tradizionali ma in chiave moderna.
Sorridono come se non gli desse alcun fastidio essere fotografati da uno straniero curioso.
Prima di entrare nell’edificio centrale del grande tempio, rispettiamo tutte le tradizioni inondandoci la testa di fumo di incenso proveniente da grosso braciere di purificazione. Poi alla fontana ci sciacquiamo la bocca e le mani, per purificarci prima di mostrarci agli dei del tempio.
Il tempio è bellissimo, diviso in due parti, la prima di accesso a tutti dove poter pregare osservando in lontananza
l’altare principale protetto da una rete metallica.
All’interno c’è una seconda sala in cui ci sono pochissimi fedeli. Per entrare bisogna togliersi le scarpe e muoversi
con cautela inginocchiandosi in alcuni punti.
Vorrei entrare e pregare con loro facendomi accompagnare da Simona che non ne vuole sapere di entrare, mi fa uno strano
discorso dicendo che non vuole irritare la sensibilità di chi prega. Crede che un cristiano non debba pregare altri Dei e che ognuno abbia il proprio Dio distinto e più vero degli altri.
Per me gli dei sono tutti uguali e pregare un Dio secondo le usanze locali equivale a pregare il proprio Dio.
In fondo un unico Dio ha più nomi a seconda del nome che gli assegnano in ogni luogo e religione.
Imitando gli altri fedeli ho lanciato delle monete nell’apposita griglia ed ho pregato per qualche secondo quel Dio che
in quel momento era anche il mio Dio.
Se si esce dal tempio centrale sulla sinistra, oltre giardino con tanto di cascata si trovano delle piccole viuzze strette
e buie piene di minuscoli locali dal piglio decisamente caratteristico. Hanno appena due o tre posti per commensali e molti
di questi non sono neanche dei veri e propri ristoranti. Hanno tavolini messi per strada dove delle signore da grosse
pentolacce servono da mangiare a clienti quasi esclusivamente del luogo.
Qui non ci sono stranieri a mangiare ma solo giapponesi, tutto è scritto in giapponese e non si capisce come e cosa ordinare,
dato che spesso non esiste nemmeno un menù.
Entriamo in un locale che ha in vetrina ostriche, conchiglie giganti e pesce freschissimo, ordiniamo a fatica qualcosa spiegando
che Simona è allergica ai molluschi bivalvi ed indicando fisicamente alla gentile signora il polipo gigante che in un piatto sul bancone del locale.
Dopo circa cinque minuti di parole incomprensibili, sorrisi della gente agli altri tavoli, sguardi ed espressioni di evidente imbarazzo,
riusciamo ad ordinare qualcosa che non abbiamo ben compreso.
Non mi preoccupo tanto per il prezzo finale perchè almeno in quello, la signora prima di accettare un ordinazione, mi ripete
infinite volte il prezzo, chiedendomi se ho capito e se mi sta davvero bene.
Per Simona arrivano due piattini minuscoli, in uno c’è un sashimi di polipo, nell’altro un paio di tentacoli di polipo fritti che sono perfino più buoni del sashimi.
Per me invece ci sono delle specialità di mare in conchiglia di cui non saprò mai il nome, un carapace affettato e riposto nella
sua conchiglia gigante e due molluschi bivalvi giganti.
I molluschi sono sodi ed un po’ duretti ed il gusto è intenso, possono non piacere a tutti ma io li trovo fantastici, anche se uno dei due costa una fatica tremenda per masticarlo.
Il carapace è più tenero e saporito e lo finisco con calma gustando ogni boccone con la dovuta lentezza, sono sicuro che Simona
non mi consentirà di ordinare altri piatti per paura di pagare troppo alla fine, quindi dovrò farmi bastare questo e poi andremo a mangiare qualcosa da asporto alle bancarelle.
Da bere abbiamo preso una birra e dell’acqua con ghiaccio che in Giappone non viene mai inclusa nel conto, come succede con il tè, vengono offerte ai clienti.
E’ vero che non ci siamo saziati ma ne è valsa la pena spendere 2600 yen (22-23€ al cambio attuale) per deliziarci con simili specialità di mare.
Soddisfatti possiamo tornare al cibo da strada delle bancarelle del tempio.
Se vi piace mangiare e provare un sacco di cose nuove e particolari, in Giappone potreste impazzire di gioia. Alla bancarella lungo la strada del tempio, abbiamo preso due spiedini schiacciati con verdure e maiale davvero sublimi. Erano morbidi dentro e croccanti all’esterno, conditi con maionese e salsa takoyaki. In bocca un sapore intenso ti riempiva la bocca e viziava contemporaneamente tutte le papille gustative.
Tornati in stazione, siamo passati attraverso i corridoi sotterranei.
Ai piani sotterranei dei centri commerciali c’è un mondo intero dedicato alla gastronomia, migliaia di metri quadri con banchi di salumeria, pescheria, venditori di yakitori, di vari tipi di tempura e poi dolci, bevande e tutto quello che può servire per organizzare una cena o un pranzo. Ci sono venditori di soba freddi o saltati alla piastra, c’è pesce già pronto da portare via o crudo e confezionato. Se volete invece preparare il sushi ci sono dei banchi appositi con pesci e carni apposite. Qualcuno vende degli gnocchi giganti ripieni di carne che chiamano nikuman, ci sono poi zuppe pronte, sottaceti confezionati ed un infinita varietà di dolci sia giapponesi che in stile europeo.
Volendo cenare in camera con 10-15€ a persona riusciremmo a comprare tantissime cose. Alcuni banchi vi offrono da provare i prodotti, altri mettono lì gli stuzzicadenti e qualcosa da assaggiare. Abbiamo provato delle ottime sacche di tofu ripiene di riso ma quando ho tentato di provare un pesciolino essiccato una vecchietta ha reagito male dicendomi di andare via. La cosa mi ha lasciato molto perplesso, specialmente perché non ho potuto capire le sue ragioni spiegate in un giapponese fluente e per me incomprensibile.
Nonostante avessimo già pranzato ci siamo fatti tentare da due spiedini di carne freddi, uno classico di maiale e l’altro con delle tenere polpettine di carne.
Sulla metro del ritorno credevo ci fosse un pazzo ad urlare qualcosa contro il mondo ad ogni fermata ma poi ho capito che era il macchinista. Puntualmente alle fermate scendeva dal treno ed urlava il nome della fermata, annunciando poi di salire, perché il treno stava per ripartire. Il tutto lo faceva mimando dei gesti ben precisi che a noi occidentali potevano sembrare un tantino superflui e buffi ma che di sicuro avranno avuto una certa utilità.
Avevamo da recuperare la visita al tempio saltata il giorno prima per il nostro ritardo così ci siamo mossi verso Shibuya.
In metro mi sono infilato nelle porte e quelle mi si sono chiuse dietro lasciando Simona da sola alla fermata, meno male che oggi si viaggia muniti di connessione internet, così sono riuscito ad avvisarla che ci saremmo incontrati alla stazione successiva dove l’avrei aspettata.
Secondo un avviso sui monitor della metropolitana su di una linea c’è stato un ritardo dovuto ad un terremoto ma non mi pare di aver sentito niente qui in città.
Questa volta siamo arrivati al Santuario Meiji in tempo per visitarlo. Non è un posto molto grande ma il viale che porta fino al santuario è abbastanza lungo e vi costringe ad una piacevole passeggiata nel bosco tra il canto di mille cicali urlanti.
Per la prima volta acquistiamo due tavolette di legno sulle quali scrivere un desiderio o una preghiera e poi le appendiamo come fanno tutti ai centinaia di gancetti disponibili fuori dal tempio.
E’ il primo tempio importante che visitiamo e ci sembra davvero affascinante ma verrà nei giorni a seguire.
Dal tempio passiamo a visitare la Takeshita Street, una strada molto famosa per essere un centro nevralgico della movida giovanile giapponese. Qui ci sono centinaia di negozi di moda e giovani che vestono nelle maniere più eccentriche e stravaganti. Si spazia dal punk all’eleganza più assoluta passando per varianti hip-hop, lolita, dark e stile bambolina di porcellana.
Siamo stanchi e non ci va più di girare così decidiamo di prendere la metro e tornare verso l’albergo.
In metro, tra persone addormentate e dialoghi al silenziatore noto che la ragazza seduta accanto a me ha un quaderno aperto con delle parole in Italiano. Provo a scambiare qualche parola ma non riusciamo a capirci troppo bene dato che non lo parla e nemmeno il suo inglese é perfetto. Capisco che sta studiando l’italiano perché vuole venire a visitare il nostro paese, così decido con Simona di lasciarle un piccolo regalino tra quelli che ci portiamo dietro dall’Italia proprio per queste occasioni.
Non mi aspettavo che la cosa le creasse tanto imbarazzo, dato che l’ha preso e dopo averci ringraziato ed essere arrossita non è riuscita più a proferire parola fino a quando non è scesa dal treno e ci ha salutato in italiano, forse le uniche parole che aveva studiato e che stava ripassando per tutto il tempo prima di pronunciarle.
E’ quasi il tramonto e vogliamo salire sulla Tokyo Tower per guardare lo skyline cittadino al tramonto, ma è tardi e dobbiamo correre per raggiungere l’albergo che è lontano.
Dall’albergo alla torre la strada non è tanta ma quando arriviamo è ormai buio, non siamo sicuri di avere un altro giorno libero a disposizione per salire sulla torre, così decidiamo di farlo subito, nonostante sia sera inoltrata.
Facciamo i biglietti per la torre ed un ascensore ci porta a quota 160m, la città è fantastica vista dall’alto con migliaia di piccole luci, strade illuminate e grattacieli che sono disposti a perdita d’occhio da qualsiasi lato uno guardi, tuttavia c’è un secondo punto di osservazione ancora più alto a circa 260m, così ci mettiamo in fila per salire.
Non ci aspettavamo di dover fare tanta fila, ci sono voluti quasi 40 minuti di attesa per raggiungere la biglietteria e poi un altro quarto d’ora per la seconda fila prima dell’ascensore unica che porta fin sopra al secondo osservatorio.
Il vento qui sopra è fortissimo, riesco a notarlo dalle reti di sicurezza che si muovono nonostante siano fissate con catene di acciaio. La vista sulla città è incredibile anche se meno romantica di quella che si gode al primo osservatorio dei 160m che essendo più basso da più l’idea di essere immersi nella città.
Quando ne abbiamo abbastanza decidiamo di riprendere l’ascensore ma dobbiamo seguire una coda ancora più lenta e lunga che ci fa perdere un tempo infinito e quasi ci fa rimpiangere di essere saliti fin sopra al secondo punto di osservazione.
Chissà cosa si prova a salire sulla Tokyo Sky Tree, la torre nuova di Tokyo che mi pare sia più alta di 600 metri e quante ore di coda bisogna subire per arrivare in cima.
Sbagliando l’uscita della torre ci ritroviamo nel parcheggio e dobbiamo fare un giro di almeno 20 minuto per ritornare nella strada giusta che punta verso il nostro albergo.
Quando siamo quasi in albergo, notiamo un piccolissimo ristorante di ramen con un un bancone lungo ed un’impalcatura in legno e vetro dietro la quale tre cuochi si muovono velocemente tra il vapore.
Non facciamo in tempo a distogliere lo sguardo che uno di loro esce dal locale e ci aggancia. Ha la maglia bianca, le maniche tirate su, l’asciugamano da sudore sulla fronte e sembra molto simpatico.
Ci lasciamo tentare ed entriamo. Per prima cosa dobbiamo pagare il conto alla macchinetta posta all’ingresso, ci sono i disegnini delle zuppe di ramen disponibili e degli altri alimenti ordinabili, infiliamo i soldi e scegliamo due zuppe, dei ravioli Gyoza e la birra.
La macchinetta sputa fuori gli scontrini che il tipo prende direttamente e li porta ai due cuochi, in modo che nessuno di loro maneggi soldi e banconote.
L’odore di zuppa è molto intenso nel locale ed i dieci posti a sedere sono sempre pieni di gente con un continuo ricambio.
Osservo i cuochi che compiono i loro gesti con una velocità e precisione allucinante, versano la pasta ed attendono che sia cotta, provandola ogni tanto, poi con dei colini la tirano su e la fanno scolare, compiendo dei movimenti rapidi e molto coreografici.
Versano gli spaghetti nelle ciotole, aggiungono il brodo e tutti gli altri ingredienti per poi porci la ciotola fumante con un inchino.
Quando affondo le bacchette nella zuppa un aroma incredibile raggiunge le mie narici, poi alzo un ciuffo di spaghetti e lo porto alla bocca fino a rimanere completamente estasiato.
Senza dubbio è il miglior Ramen che abbia mai mangiato e giurerei che si tratta di uno dei migliori ramen di Tokyo. Se penso alle costose zuppe di ramen dei ristoranti giapponesi in italia mi viene un immensa tristezza e mi passa per la mente l’idea di farmi assumere dal signore del ramen per restare a vivere qui e diventare un giorno un cuoco di ramen.
Perché un ramen cucinato sul luogo di origine può essere così speciale ma se si esporta il cuoco all’estero questo finisce con il perdere graduamente la sua magia fino a trasformarsi in un imitazione di se stesso?
Ma eravamo in Giappone ed avevamo davanti un piatto che era pura poesia tanto che dopo aver provato il brodo, tutti questi pensier sono svaniti per lasciare posto alle emozioni.
Di quella ciotola fumante e piena di brodo, non é rimasto che il luccichio del fondo così come il fino della birra e quello degli ottimi ravioli gyoza a che abbiamo finito.
Per la mia tendenza ad esagerare ho voluto ordinare un piatto di maiale che si è rivelato un piatto di cubetti grigliati di porchetta tenerissimi e molto saporiti al punto da sciogliersi in bocca.
Oltre non siamo andati, e dopo aver pagato una sciocchezza, tipo meno di 9€ a testa, abbiamo ringraziato con moltissimi inchini sia il proprietario che i cuochi e siamo andati via ancora incantati.
Se volete provarlo, no so come fare ad indicarvelo dato che il nome è scritto in kanji, l’unica cosa che posso fare è indicarvi la posizione con google map, il locale è quello sulla destra, con l'insegna rossa con i kanji scritti blu e dorati, ha le tendine bianche e la porta a pannelli di legno:
Fino a che resteremo in Giappone dovrò provare ogni genere di specialità perché la vera cucina giapponese, la si può provare solo in Giappone ed in nessun altro luogo del mondo.