Ci svegliamo con tutta la calma del mondo e scendiamo a fare una mega colazione, stamane Taeko ci passa a prendere per andare all’acquario.
Alle 11:00 siamo già fuori dall’albergo ma non c’è traccia di Taeko, provo a cercarla su internet ma non risponde. Dopo un po’ che aspettiamo noto un’auto bianca in fondo alla strada dell’albergo che procede a retromarcia verso di noi e capisco subito che si tratta di lei.
😉
Nel tragitto chiacchieriamo dei tempi passati e dei suoi viaggi in Italia, ne sono passati di anni da quando venne a trovarmi a Napoli ed ora io sono qui da lei.
Nel frattempo che andiamo ascoltiamo il repertorio di musica classica napoletana di Roberto Murolo, lei è un’appassionata di musica classica napoletana ed a me non dispiace risentire le canzoni che ascoltavano i miei nonni, mi fa provare una strana sensazione.
Per strada litighiamo con il navigatore satellitare sbagliando strada più volte, perché ci distraiamo a parlare, invece di seguire la linea blu disegnata sullo schermo e la vocina giapponese che ci parla dalle casse.
Mi rendo conto che non potrei mai guidare l’auto qui in Giappone, perché ormai sono troppo abituato a stare sulla destra, qui finirei continuamente contromano rischiando di ammazzare me è qualche povero innocente.
Se dovessi vivere qui dovrei prima allenarmi all’idea di guidare sul lato sinistro facendo per qualche mese solo da passeggero.
Nei pressi dell’acquario i parcheggi sono pienissimi, così ci allontaniamo e parcheggiamo ad un paio di chilometri di distanza in appositi parcheggi con servizio navetta incluso nel prezzo che ci porterà sul molo dove c’è l’ingresso dell’acquario e della ruota panoramica di Osaka.
Per indicarti come e dove parcheggiare i parcheggiatori si esibiscono in una specie di danza, con movimenti coreografici studiati a tavolino, nelle mani hanno delle palette con segnalatore luminoso simili a quelle usate negli aeroporti.
Dalle nostre parti sarebbe un po’ eccessivo dato che di solito il parcheggio dobbiamo trovarcelo da soli girando tra le corsie in attesa del colpo di fortuna.
Taeko con una manovra improvvisa elude l’omino luminoso e va a parcheggiarsi da un’altra parte, non ne capisco il motivo ma a me, sembra che vada bene anche così.
La navetta è un piccolo autobus giallo con l’aria condizionata a palla, si passa di colpo dai 36 gradi esterni all’era glaciale, ci sediamo comodamente e lasciamo che ci porti fin sotto la grande ruota panoramica dove ci abbandona nella morsa di un caldo infernale, in un piazzale enorme pieno di sole.
La fila per il biglietto è di quelle infinite a serpentina ma per fortuna dato l’elevato numero di casse aperte riusciamo in una decina di minuti a fare i biglietti e metterci in cosa per l’ingresso.
La visita all’Acquario inizia subito con il passaggio in un tunnel di vetro sotto un cielo blu dove nuotano centinaia di pesci delle razze più svariate.
La folla è incredibile e si fa una gran fatica a non perdersi di vista.
Si susseguono poi una gran quantità di vasche enormi dove nuotano le più svariate razze anfibie.
Ci sono una specie di nutrie molto vivaci, le foche, i leoni marini e perfino dei pinguini incazzati neri che se ne stanno un po’ immobili in un ambiente troppo piccolo.
Per riuscire a fotografare o riprendere un qualche animale bisogna infilarsi tra le migliaia di visitatori accalcati lungo le vetrate.
L’Acquario è un continuo saliscendi di corridoi che girano intorno ad una vasca centrale enorme dove nuotano grosse specie di razze, squali, pesci limone ed altri pesci minori che fanno da contorno.
E’ stancante districarsi tra la folla e fa caldo, così facciamo una sosta al bar dell’acquario che non vende niente di speciale oltre a qualche tè e dei gelati confezionati.
Tra la folla di famiglie riusciamo a trovare un tavolino libero con vista sulla baia di Osaka e ci sediamo per un attimo a riposare per poi ripartire subito con la visita.
Forse la parte più affascinante dell’acquario è quella delle meduse, in un ambiente più buio di quelli precedenti ci sono centinaia di vasche di dimensioni e forme diverse Con dentro tantissimi tipi di meduse.
E’ possibile girare intorno ad ogni vasca in modo da ammirare con la giusta angolazione quell’armonioso spettacolo della natura.
Questi esseri semi trasparenti e tentacolati che nuotano, respirano e si nutrono in un solo movimento, con un continuo e lento scambio di energie con l’ambiente circostante.
Le più impressionanti hanno un cappello bianco grande più della mia testa e degli enormi tentacoli che partono marroni alla base per poi diventare arancioni verso le punte.
Sono impressionanti e mi domando in quali mari ed a quali profondità se ne stiano a vagare indisturbate.
Qui invece sono costrette a convivere con l’uomo le luci artificiali delle fotocamere e le mani dei bambini sui vetri.
Nell’ultima zona è possibile ammirare dei pinguini di una razza che sopporta le nostre temperature e che qualcuno prova ad accarezzare nonostante ci sia un cartello che suggerisce di stare attenti.
Anche questi pinguini sono arrabbiati e mi guardano di traverso come per dire che diavolo vuole questo ora, se solo allunga la mano gli do un morso che no si dimentica più.
Intimorito lo guardo con sospetto senza provarci nemmeno ad accarezzarlo e vado avanti.
Non so quanto tempo siamo stati nell’acquario ma quando siamo usciti il sole era ancora molto alto ed insistente sul piazzale ormai semivuoto della baia di Osaka.
Per cena Taeko ci ha invitato a casa, ci avrebbe preparato il sushi.
Qui in Giappone è facile procurarsi gli ingredienti, basta passare al supermercato ed hanno già tutto pronto, ogni tipo di pesce, gambero e simili.
Nell’attesa della cena ci ha offerto un dolce molto comune, che si compra al supermercato, di cui mi sfugge il nome, una gelatina nera sulla quale ha versato una polvere marrone.
Appena l’ho provata, dopo aver vinto la sensazione di secchezza del palato generata dalla polvere marrone, ho sentito il gusto unico di quel budino nero al caffè.
Era qualcosa di incredibile, non troppo dolce con un aroma di caramello ed un gusto delicato di caffè.
Sia io che Simona ci siamo guardati per condividere quella gioiosa scoperta che sarebbe diventata un must nelle nostre serate con dolce in albergo prima di andare a dormire.
Quando Taeko iniziato a preparare la cena mi metto ad osservare ogni suo gesto per imparare il più possibile, non vuole che l’aiuti così mi limito a guardare.
Per cominciare lava il riso e lo mette in un marchingegno elettronico presente ormai in tutte le case giapponesi, la cuociriso.
Poi lo ricopre con una certa quantità d’acqua, chiude il coperchio e preme dei tasti con ideogrammi per me incomprensibili.
Dal mobile tira fuori una piccola padella antiaderente rettangolare, è la famosa padella per preparare il
tamagoyaki da sushi, la frittatina arrotolata più volte su se stessa che poi si mette sul riso per formare i nigiri.
Con due bacchette ed un’infinita pazienza rompe delle uova, ci mette dello zucchero e del sale, le sbatte velocemente e versa il tutto nella padella, poi comincia un lavoro complesso, fatto di inclinazioni della padella, arrotolamento delle parti già cotte con l’ausilio delle bacchette, rimescolamento della parte ancora liquida e così via fino ad ottenere una frittata arrotolata su se stessa, morbida e spumosa.
Una tecnica che dovrò apprendere prima o poi, soprattutto se riesco a procurarmi l’apposita padella.
Poi però mi stupisce, invece di cominciare ad arrotolare makizushi con stuoine di bambù, prende un piatto di portata bello grande e comincia a disporre la frittata tagliata a striscioline e tutti i crudi di pesce di cui dispone.
Ci mette il cetriolo fatto a striscioline, l’avocado a fettine sottili, i gamberi crudi e quelli cotti e tante altre cose.
In un piattino a parte mette le alghe nori in sfoglie, tagliate in rettangoli piccolini, in una ciotola grande mette il riso dopo averlo raffreddato e condito con un apposito condimento per sushi, poi prende le birre, i piattini per la salsa di soia, il wasabi e ci sediamo a tavola.
Ho già capito cosa sta per succedere, non ci sarà una preparazione iniziale, ognuno da solo dovrà preparare il sushi che vuole mangiare, scegliendo di volta in volta gli ingredienti preferiti.
Per mostrarci come fare Taeko prende un foglio di nori, ci mette sopra un po’ di riso, poi ci adagia alcuni ingredienti scelti dal piatto, infine avvolge l’alga su se stessa, la bagna nella salsa di soia e la mangia.
Imitandola faccio lo stesso, prendo l’alga nella mano ci metto il riso, un gambero crudo, un po’ di cetriolo, lo avvolgo e lo mangio.
Lentamente tra una chiacchiera e l’altra ci ripuliamo, sushi dopo sushi, tutto il piatto degli ingredienti, la scodella del riso, le sfoglie di nori e le birre.
Questo è un modo molto amichevole di mangiare il sushi che non richiede una lunga preparazione, che coinvolge direttamente l’ospite e che permette sopratutto di usare le mani invece delle bacchette, creando un’atmosfera molto meno formale di quella che si crea quando bisogna usare le bacchette per mangiare maki e nigiri già pronti da un piatto di portata.
Proverò di sicuro ad imitare questo modo di servire e mangiare il sushi la prossima volta che avrò amici intimi a cena.
Dopo la cena abbiamo fatto quattro chiacchiere sul divano bevendo qualche birra e poi lei si è offerta di accompagnarci in albergo in auto.
Meno male, perché se avessimo dovuto trovarlo da soli non ci saremmo riusciti.
Anche trovarlo con il navigatore è stato complicato tanto che ci è rimasto il dubbio che questo albergo venga spostato ogni sera, appena i clienti escono per rendergli il ritorno più avventuroso.