Stamattina si parte per Hiroshima, abbiamo lasciato una valigia direttamente in albergo qui a Kyoto, c’è la tengono in custodia fino a quando torneremo domani sera, per soli 100yen, così non dobbiamo portarcela dietro inutilmente.
Raggiunta la bellissima e moderna stazione di Kyoto in una decina di minuti di passeggiata, facciamo un po’ di spesa per il viaggio.
Qualche dolce al conbini, un aranciata ed un tè, qualche caffè in lattina e due bei bento pronti da mangiare durante il viaggio.
Come sempre siamo in anticipo e volendo potremmo ignorare la prenotazione sul nostro Shinkansen per salire su quello precedente nei vagoni non prenotati.
Non c’è limite alla potenza del Japan Rail Pass.
Il viaggio scorre via veloce e comodo, tra qualche boccone ed un sonno profondo che ormai mi prende improvvisamente quando metto piede su qualsiasi mezzo di trasporto giapponese.
E’ questione di un attimo, smetto di mangiare, volgo lo sguardo al cielo e piombo in un sonno profondo che Simona si diverte a fotografare.
L’unica cosa che ricordo del viaggio è una grande chiesa gotica nei pressi della stazione di Fukuyama, il resto del film è nero, completamente, non sono sicuro nemmeno di avere mangiato il bento o aver bevuto il mio tè verde.
Dalla stazione di Hiroshima prendiamo uno dei comodi tram cittadini che ci porta in poche fermate al Bomb Dome.
Chiaramente ho dormito anche in questo tragitto, quindi non saprei dirvi molto su cosa si vede durante il percorso, so solo che quando si arriva sul fiume e si scende alla fermata successiva, quello che ci si presenta davanti è un pezzo di storia autentici carico di tutto il suo dolore.
Osservi questo edificio, con la sua cupola scheletrica, l’unico nei pressi dell’epicentro rimasto ancora in piedi, e capisci che quello che per te era solo una pagina sui libri di scuola, è successo davvero nella vita reale.
Passare da una semplice foto alla realtà per un attimo ti lascia senza fiato, ti senti vuoto, inutile ed impotente e tutto quello che hai immaginato ora ti sembra abbia una dimensione ed una presenza assolutamente ingombrante.
Ci vuole un po’ per distogliere lo sguardo da quella scena ma appena dopo, lo sguardo ci ritorna su, come a voler vedere meglio e comprendere tutto il dolore ancora presente.
Cominci a scrutare ogni finestra, ogni sbarra metallica divelta e vorresti poter condividere tutto il dolore con le persone coinvolte, vorresti che ti entrasse dentro per alleggerire in parte quel luogo dove ogni cosa è irrimediabilmente impregnata ma non riesci a fare altro che piangere.
Non so per quanti minuti sono rimasto immerso in uno stato di incoscienza, ma non sapevo come e non volevo uscirne, come una specie di difesa ero chiuso dentro i miei pensieri più bui.
Quando ne sono uscito ero a pezzi, mi sentivo stanco ed appassito, guardavo Simona che come me restava in silenzio ma non trovavo nei suoi occhi nessuno sguardo di conforto.
Un enorme corvo nero guardava la scena stando in equilibrio sul cancello, sicuramente anche lui percepiva qualcosa che andava oltre l’apparenza.
Quel verde splendente del prato, così perfettamente curato, non bastava a nascondere o far dimenticare quanto accaduto in quello che ora è il parco Memoriale della Pace.
Un santuario del dolore, costruito come ricordo indelebile e come monito per le generazioni future, esattamente nella zona in cui la bomba distrusse ogni cosa.
Per riprenderci un attimo dallo shock abbiamo deciso di portare le valige in camera, fare una doccia fredda e poi scendere di nuovo a visitare il museo della pace.
Il nostro albergo è un tre stelle che ci è costato 43€ in due, compresa la colazione.
Mi domando perché abbiano un prezzo così basso e per un attimo rimango perplesso quando scopro che si trova proprio a pochi metri dall’epicentro della bomba.
Chiaramente non è pericoloso, non ci sono più radiazioni da tempo, è solo un hotel un po’ vecchiotto, dall’aspetto esteriore trasandato.
Anche gli arredi della hall sono scuri e pregni del tempo, non entra molta luce e tutto sembra surreale.
Le camere però sono pulite e pure abbastanza ampie rispetto alla norma.
Le hostess ci mostrano una sala in penombra, rivestita da vecchio legno ormai levigato dagli stracci che nel tempo ci sono passati sopra.
Quella sala è la zona in cui ci serviranno la colazione.
Per strada un ristorante italiano vende succo d’arancia a 500yen ed un piattino di ostriche a 1000yen, uno strano abbinamento che però sembra funzionare, specialmente di mattina considerata la fila di persone che stanno aspettando il loro turno.
Invece di mangiare, ci mettiamo in coda per entrare nel museo della pace.
La gente è tanta e per vedere tutte le cose esposte ci vorranno delle ore.
Sono veramente impressionanti gli audio racconti delle persone che erano presenti durante il disastro, raccontano di bambini con le pelli cadenti e gli occhi bruciati dal calore che vagavano per giorni in cerca dei genitori prima di morire in preda al dolore e la disperazione.
Tantissime madri in cerca dei figli scomparsi, persone abbandonate a se stesse che si aggiravano per la città senza capire nemmeno cosa stesse succedendo, era l’inferno disceso improvvisamente sulla terra per mano dell’uomo.
In una teca c’era un orologio da polso dell’epoca, fermo alle ore 8:15 di quel maledetto 6 agosto del 1945, quando la vita di un popolo era stata improvvisamente e brutalmente cancellata.
Le ricostruzioni delle persone con gli occhi bruciati, gli abiti e la pelle del corpo disciolti e penzolanti, che camminavamo come zombie per la città in cerca di aiuto sono un vero e proprio colpo al cuore.
Nelle varie teche si possono osservare i materiali rinvenuti sul luogo dopo l’esplosione, come le tegole disciolte dal calore, mentre un grande plastico della città rende l’idea della palla di fuoco generatasi nell’aria al momento dell’esplosione, poco prima che la bomba toccasse per terra.
In un angolo poi, c’è lei, la Little Boy, intatta e tirata a lucido, nera e fredda, grande circa tre metri, un oggetto così piccolo capace di distruggere una città con tutti i suoi abitanti.
Una cosa così terrificante che solo la razza umana poteva concepire ed utilizzare sui propri simili.
La guardo con disprezzo ed immagino che Einstein non avesse mai voluto vedere le sue scoperte utilizzate in quel modo.
Usciamo dal museo moralmente a pezzi, vuoti e pieni di domande esistenziali a cui nessuno darà una risposta sensata.
Per cercare di distrarci, ci infiliamo in un ristorante di ramen, da quando siamo in Giappone è forse il peggiore che abbiamo provato, forse sarebbe stato meglio fare la coda per andare a mangiare l’Okonomiyaki qui di fianco.
Tuttavia il peggior Ramen del Giappone è pure sempre il migliore dell’Italia, così lo finiamo lo stesso e ci mangiamo insieme anche un pessimo Tonkatsu, ulteriore prova che il ristorante scelto, per quanto sia pieno di gente è comunque un postaccio.
Anche ad Hiroshima c’è la solita galleria coperta piena di gente e negozi dove poter fare shopping o fermarsi a mangiare qualcosa, e siccome il pranzo non è stato del tutto soddisfacente entriamo in una sorta di caffè enorme dove vendono un infinità di torte in stile europeo.
Una fetta di torta ed un caffè mi costano 661 yen, circa 5€ ma la parte più esosa del conto è dovuta al caffè che per qualche strano motivo costa sempre tanto in Giappone.
Simona ha il suo dolce alla panna, io invece uno ai lamponi dalla colorazione rosa e bianco latte.
Sono così buoni e leggeri che decidiamo di fare il bis con una fetta di Sachertort.
Certo non è come quella dell’hotel sacher a Vienna ma è accettabile e si lascia mangiare senza arrecare troppi danni di saturazione dello spazio nello stomaco.
All’uscita dal caffè hanno messo un addetta all’apertura della porta con inchino di saluto ai clienti uscenti, non mi ci sono ancora abituato a queste gentilezze e rispondo sempre con un “arigatou”, un inchino ed un “sayuonara”, così per abbondare.
Sotto la galleria le bici parcheggiate hanno quasi tutte una bella multa allegata, può sembrare assurdo ma non serve che abbiano una targa, tanto il proprietario andrà di sicuro a pagare la sanzione per l’errore commesso.
Dopo un cambio di abiti ed il checkin all’albergo che ci assegna una camera con vista sul parcheggio interno dell’hotel, andiamo sull’isola di Miyajima, forse è tardi per trovare il tempio aperto, ci accontenteremo di vedere il torii immerso nell’acqua al tramonto.
Sull’isola sono famosi per avere delle ostriche fantastiche ed io non voglio perdere l’occasione di provarle.
L’ultimo traghetto di ritorno dall’isola, parte da Miyajima alle 22:14 e per fortuna fa parte delle linee JR, quindi è incluso nel nostro mitico pass, andare sull’isola non ci costerà niente.
Prendiamo un treno sempre JR che ci porta ad un centinaio di metri dall’imbarco, dove notiamo una piccola coda in attesa sotto una pensilina di legno rossa.
Quello è il nostro traghetto, ci mettiamo in coda con gli altri ed attendiamo di salpare verso l’isola di Miyajima.
L’aria è fresca e non c’è foschia, la luce del sole che si avvia verso il tramonto ci regala dei colori del cielo e dell’acqua magnifici.
Resto affacciato sul lato destro con gli occhi sulla costa fino a che non vedo spuntare il magnifico torii rosso vermiglio con la base completamente immersa nell’acqua.
E’ affascinante e non vedo l’ora di andare a fotografarlo da vicino.
Sull’isola le bancarelle hanno chiuso e rimangono solo pochi turisti che passeggiano, si godono la calma della sera e scattano foto con i pochi cervi rimasti in giro includendo come sfondo il famoso torii sommerso.
Manca poco al tramonto e c’è una calma surreale, nessuno parla o fa rumore, sono tutti un po’ immersi in contemplazione nella bellezza del posto.
Da lontano noto un banchetto in chiusura che ha esposte tre polpette di riso fritte con l’ostrica poggiata sopra, sono pronto ad uno scatto fulmineo, pur di prendere una prima di qualsiasi persona.
Mi guardo intorno con aria sospetta ma non c’è nessuno nei paraggi pronto a scattare per fregarmi sul tempo, così con disinvoltura mi dirigo verso il banchetto con aria soddisfatta e passo sempre più svelto.
Sono indeciso se prenderle tutte ma visto che si tratta di frittura mi accontento di prenderne una solamente.
Non potete immaginare il sapore di quella specie di frittella e quanto si sposi bene con il sapore delicato dell’ostrica, un po’ come le cozze con i fagioli o il polipo con le patate, sono sapori che si completano tenendosi distinti e presenti per regalarti un emozione che dura soltanto un paio di morsi.
Estasiato da quel sapore, ora voglio provare le ostriche assolute, così più avanti noto un nuovo banchetto rinchiuso in una grande vetrata.
Dietro il vetro una giovane ragazza armeggia con una grande griglia, e sulla grigia stanno cuocendo le ultime ostriche della giornata.
In un attimo sono dietro il vetro e comincio ad indicare le ostriche, devono essere mie.
Lei capisce e mi prepara un piattino con tre ostriche che mi fa pagare 500yen, scarsi 4€.
La giovane e bella ragazza mi porge il piatto con il sorriso e potete immaginare con quale sorriso risponda io, non per carineris ma per la gioia di ricevere in cambio dei miei soldi quel piatto di sapore.
Non tutti apprezzano il gusto intenso e particolare delle ostriche ma per chi le ama come me, consiglio vivamente di venire a provare queste di Miyajima, c’è veramente il sapore del mare, una freschezza ed una delicatezza che difficilmente si trova in altri posti.
Prima di venire in Giappone non immaginavo che il pesce ed i frutti di mare potessero avere un sapore così intenso, è proprio vero che senza viaggiare non si scoprirà mai il mondo e le meraviglie che può offrire.
Dopo le ultime ostriche della ragazza alla griglia e la chiusura di tutti i negozi aperti era venuto il momento di dedicarsi solo all’isola.
Il torii rosso si ergeva sull’acqua di fronte al santuario che ormai sembrava disabitato.
Mentre si accendevano le prime lanterne, noi procedevano scalzi verso il torii con l’acqua calda che ci lambiva le ginocchia.
Dall’acqua la prospettiva è totalmente diversa e ci ha permesso di avvicinarci di più per scattare qualche foto ricordo da mostrare agli amici nelle serate dedicate ai racconti di viaggio in Giappone.
L’acqua tiepida, quasi calda, mi accarezzava le gambe stanche, l’aria fresca mi sfiorava la schiena sudata insinuandosi sotto la maglia, il cielo si tingeva di rosso vermiglio e blu scuro intenso, più intenso del colore del mare che riempiva la parte bassa della scena opposta al cielo.
All’orizzonte, cielo e mare quasi si confondevano restando separati da una linea sottile e continua illuminata dal sole calante.
Un momento di infinita bellezza e pace interiore che mi ha permesso di dimenticare ogni cosa, sarei rimasto così in eterno se non fosse stato per la notte che ci ricordava di dover tornare a prendere il traghetto per Hiroshima.
Sulla stradina interna di Miyajima, passeggiano tra i negozi chiusi in cerca di un posto dove mangiare, notiamo un enorme cucchiaio da riso in legno, è grande svariati metri ed è il più grande al mondo, non so cosa venda il negozio chiuso dietro questo immenso oggetto scultura ma posso immaginarlo.
Più avanti c’è un piccolo ristorante, l’unico aperto di sera sull’isola, immagino siano cinesi perché propongono anche piatti della Cina, anche se dall’aspetto dei titolari non si direbbe.
Troviamo posto al bancone ed ordiniamo qualcosa, io prendo un menù completo con i due prodotti tipici dell’isola, le ostriche fritte e l’anguilla sul riso.
Simona è allergica alle ostriche ed i frutti di mare, quindi, per non rischiare di stare male, prende della carne alla piastra.
Tutto è molto buono e l’atmosfera è tranquilla, i clienti sono pochi e chiacchierano amabilmente senza che io possa capire una parola.
Il locale è a gestione familiare, il proprietario con la sua bandana avvolta intorno al capo mi ricorda il padre di Licia nel famoso anime “Kiss me Licia” con la differenza che qui, nella realtà la figlia ha un aspetto orientale ed è molto più carina.
Cerchiamo di mangiare in fretta perché ci aspettano il traghetto ed il treno e perché cominciamo ad essere stanchi.
Qui il prezzo non è economico come al solito, in due ci costa 5300 yen, poco più di 40€, che a Roma non sarebbero tanti ma qui in Giappone siamo abituati a cifre più abbordabili e popolari.
Le strade di Miyajima di notte sono illuminate dalle lanterne, anche se i negozi sono chiusi l’atmosfera è suggestiva.
Molti ospiti degli hotel e dei ryokan, equipaggiati con Yukata e sandali in legno, passeggiano lungo le stradine emettendo un riecheggiante rumore di zoccoli.
Mi piacerebbe restare qui sull’isola a dormire ma non è stato possibile trovare posto.
Con traghetto, treno ed autobus torniamo al Memorial park dove ci aspetta il nostro vecchio albergo.