Lascio Hiroshima con un peso in più sul cuore, un storia passata che vorrei non si ripetesse mai più per nessun popolo nella storia dell’umanità.
Questa città è rinata dalle macerie e la disperazione ma porta addosso un fardello di cui mai potrà liberarsi, una colpa della razza umana da imputare a tutti quelli che non rinnegano la guerra.
Nel tram cittadino la gente sembra tranquilla, concentrata sui propri impegni, qualcuno dorme, altri chattano sul cellulare e noi siamo di nuovo in viaggio, per tornare a Kyoto.
Nella stazione di Hiroshima mi fanno provare delle piccole castagne arrostite dal sapore molto dolce, se non avessi mangiato così tanto a colazione ne comprerei un sacchetto ma mi sento quasi di scoppiare.
La signorina delle prenotazioni vuole prenotarci il diretto delle 11:30 ma io le chiedo di metterci sul sakura delle 10:40 con cambio ad Osaka.
Insiste dicendo che non c’è posto e devo convincerla che per noi non c’è alcun problema a viaggiare nelle carrozze non riservate.
Dispiaciuta per il disagio che ci sta arrecando la ferrovia, mi ripete molte volte che su questo treno potremmo dover viaggiare in piedi ma io insisto che va bene e mi faccio prenotare solo il posto sul treno successivo da Osaka a Kyoto.
Non resisto all’attesa del treno ed entro in uno dei piccoli shop che si trovano spesso sui binari dei treni per poi acquistare una confezione di castagne già sbucciate ed un dolcetto con azuki e castagne da mangiare durante il viaggio, l’assaggio delle castagne di prima ha funzionato, ho sentito il bisogno di comprarle.
I saluti ai passeggeri sullo shinkansen durano almeno cinque minuti, forse perché oggi c’è una troupe televisiva che sta facendo un servizio specifico sul viaggio in shinkansen.
Ovviamente mettendosi in fila dieci minuti prima dell’arrivo del treno, nelle carrozze non riservate, troviamo il posto a sedere senza problemi.
Sul treno per Osaka sono caduto in un sonno profondo, mi svegliavo solo ad ogni stazione per chiedere se eravamo arrivati a destinazione oppure no.
Sul treno successivo abbiamo trovato il nostro posto riservato occupato da un ragazzo, forse si sarà confuso, oppure è una persona che non ama rispettare le regole in una nazione dove le rispettano tutti e fa un po’ come gli pare, non importa tanto il treno è pieno di posti e non se la prenderanno con degli stranieri se sono seduti al posto sbagliato.
Dopo aver posato i bagagli nel nostro hostel di fiducia a Kyoto, andiamo in stazione a comprare un pass 1 day, per poter viaggiare sui mezzi pubblici tutto il giorno, poi ci mettiamo in fila alla pensilina per prendere l’autobus.
Non è del tutto immediato capire dove fermerà l’autobus giusto, forse conviene andare a chiedere ad un addetto dei mezzi pubblici se come noi faticate a trovarlo.
Dalla stazione prendiamo l’autobus fino al ginkaku-ji, il tempio conosciuto con il nome di padiglione d’argento.
Ci lascia in una stretta stradina piena di negozi di souvenir e cibo da strada, che va percorsa per raggiungere il tempio.
Per non farci mai mancare niente, prendiamo un cetriolo lungo sottaceto, infilato sullo stecco e lo sgranocchiamo passeggiando.
Il ginkaku-ji non è molto appariscente come tempio, c’è un piccolo padiglione in legno immerso in un immenso giardino foresta.
Simona è un po’ delusa, si aspettava di trovare qualcosa di più interessante ma il giardino non è affatto male.
È molto grande ed armonioso e si possono passare dei bei momenti passeggiando sui viali di ghiaia, mentre si ascolta il lento scorrere dell’acqua e si osservano le carpe colorate nuotare.
Fa un gran caldo, come al solito e noi abbiamo di nuovo fame, tanto per cambiare.
Ci lasciamo tentare da un würstel e da alcune polpette di riso al sesamo che vendono per strada, le polpette sono molto buone, il würstel è invece uguale a qualsiasi altro würstel del mondo.
Per non farci mancare niente, compriamo anche uno yakitori, lo spiedino di pollo.
Quelli sulle bancarelle sono sempre enormi e molto gustosi, succosi dentro ed agrodolci fuori, grazie alla salsa in cui li immergono prima di grigliarli.
Gli autobus qui sono strani, se non hai il pass devi prendere un biglietto alla salita, questo biglietto lo userai quando scendi per calcolare il prezzo da pagare che verserai in monete in un cestello automatico, oppure puoi scalarli da una carta elettronica prepagata.
Un anziano giapponese sta facendo il furbo prendendo il biglietto molte fermate dopo quella in cui è salito, sono cose che non posso fare a meno di notare e mi danno fastidio essendo una persona troppo corretta.
La nostra meta successiva è il famoso santuario Heian, un grandissimo santuario dai colori rosso vermiglio e bianco, meta di molti turisti.
Un posto davvero maestoso, a partire dal grande tori rosso che si vede già dalla strada molto prima di arrivare, pare sia il più grande di tutto il Giappone.
Nel tempio poi il palazzo principale riproduce la forma del palazzo imperiale di Kyoto ma la cosa che mi ha più colpito è il grandissimo giardino che si trova al lato sinistro del tempio.
Per entrare ci vogliono 600yen e per fortuna li abbiamo pagati e siamo entrati a visitarlo.
Il giardino è veramente immenso e la visita lunghissima, ci sono delle cascate in roccia che riproducono paesaggi naturali, alberi dai colori sgargianti rossi ed arancio, carpe koi che nuotano serene ed un maglifico corridoio coperto in legno che passa sull’acqua che hanno usato in molti film sul Giappone come luogo per le riprese video.
Il caldo e l’afa non ci danno tregua, così ce ne torniamo in albergo ad attendere Taeko per la serata.
Quando arriva, Taeko ha dei regali per Simona, sono tutti accessori per vestire lo yukata, una borsetta, un portamonete ed un fazzoletto, molto belli e ricamati a mano, è sempre così gentile e premurosa con noi, una persona fantastica.
Stasera andiamo a vedere i fuochi sulle montagne, li accenderanno per festeggiare la fine dell’obon una festa molto sentita in Giappone per salutare gli spiriti dei defunti che lasciano il nostro mondo per ritornare nel loro.
Non mi aspettavo ci fosse così tanta gente, tutta la città si è riversata nelle strade e non si riesce a circolare, nei pressi di uno dei ponti sul fiume dove la gente va a vedere i fuochi da lontano c’è un fiume umano.
Siamo in ritardo e non c’è parcheggio così Taeko si offre di restare in macchina e ci manda a vedere i fuochi.
Ci immergiamo in un fiume di gente che si muove lentamente lungo il letto del fiume, molti sono qui da ore, hanno pranzato sul prato in attesa dell’evento.
Non sappiamo bene in che direzione guardare ne cosa succederà, possiamo solo supporre dalla cartina che abbiamo a disposizione che sul monte di fronte a noi accada qualcosa di bello da vedere.
Quando finalmente arriva il momento, sul monte si accendono delle luci che formano un ideogramma giapponese, si vede poco e male ma tutti sembrano entusiasti.
Noi ci aspettavamo dei fuochi d’artificio ma non sono mai arrivati, solo delle luci lontane su un monte nemmeno ben visibile.
Su molti monti intorno a Kyoto avviene lo stesso evento e si possono vedere diversi ideogrammi ma da questo punto è più o meno visibile solo un monte.
Il tutto dura pochi minuti, poi la gente comincia ad andare via lentamente.
Tanta attesa per una cosa che dura solamente un attimo.
È già sera ma Taeko ci accompagna a vedere il quartiere Gion dove si trovano ancora le ultime geisha in attività.
Lascia l’auto nella piazzetta in divieto di sosta e la cosa un po’ mi spaventa.
Le chiedo se possiamo lasciarla li ma mi dice di non preoccuparmi, così scendiamo ed incominciamo a passeggiare in cerca di qualche geisha di passaggio.
È buio e nelle stradine non passeggia nessuno a parte qualche curioso turista come noi.
Dalla strada si vedono le persone sedute ai tavoli dei locali lussuosi presenti nel quartiere e poi, quando avevo perso ogni speranza, la vedo.
È seduta ad un tavolino tra due ospiti eleganti e sta servendo loro da bere con un sorriso ammaliante e dolcissimo.
La sua capigliatura complessa ed il trucco sono fantastici e le movenze sembrano provenire direttamente da un passato del Giappone ormai quasi del tutto scomparso.
Tento di fare qualche foto ma il mio obbiettivo non me lo permette, è troppo lontana e non c’è tanta luce.
Purtroppo si è fatto tardi e Taeko deve guidare almeno per un ora per ritornare ad Osaka quindi ci riaccompagna in albergo.
Salutarla è difficile, l’abbracciamo forte chiedendole di venirci a trovare quanto prima a Roma.
Fino a che non scompare all’orizzonte restiamo a fare ciao con la mano.
È triste separarsi da qualcuno quando non sai dopo quanto tempo potrai la rivederlo di nuovo.
Prima di tornare in camera andiamo a trovare un posticino per cenare.
Ci ispira simpatia ed accoglienza un piccolo yakitori bar non molto lontano dall’albergo.
La porta è in legno e le luci dentro sono calde e soffuse.
Entriamo e ci indicano un tavolino basso per terra, qui non esistono i tavoli classici e le sedie, ci si siede alla vecchia maniera dei giapponesi.
Ci incastriamo per bene con le gambe sotto il tavolino bassissimo ma è terribilmente scomodo, bisognerebbe essere un contorsionista o un fachiro per mantenere una posizione eretta per più di un paio di minuti, così finisco per assumere le più orribili pose di tutta la mia vita.
Dal menù in giapponese riusciamo ad ordinare qualche yakitori a caso ed un po’ di riso bianco, due birre e del polipo fritto.
È tutto molto buono ma decisamente poco per due mangiatori seriali come noi.
Dopo un po’ di contorsioni varie, quando ormai la mia schiena e le mie gambe ne avevano avuto abbastanza di quelle pose innaturali chiediamo il conto.
Ci scuciono più di 3000yen, decisamente troppo per gli standard giapponesi e per la scarsa quantità di cose che abbiamo mangiato.