In politica estera il primo obiettivo dei capi dell'era Meiji fu quello di
ottenere l'uguaglianza sul piano diplomatico con gli stranieri e l'abolizione
dei trattati firmati dai Tokugawa dopo il 1853.
Ottenuto il riconoscimento de
facto della parità con le potenze occidentali, il Giappone intraprese la sua
espansione territoriale a spese dei paesi sottosviluppati dell'Asia orientale;
gli intrighi giapponesi in Corea provocarono nel 1894 una guerra con la Cina,
che dimostrò in modo impressionante la superiorità dell'esercito e della marina
nipponica. Dopo una serie di rapide vittorie, con il trattato di
Shimonoseki
(1895) il Giappone ottenne dalla Cina l'isola di Formosa, le Pescadores e
l'affitto della penisola del Liao-tung.
L'intervento delle potenze europee
(esclusa l'Inghilterra) impedì al Giappone di assicurarsi quest'ultima
concessione a beneficio della Russia. Più tardi il Giappone intervenne a fianco
degli Occidentali nella guerra cosiddetta dei boxers (1900) e concluse nel 1902
un trattato di alleanza con l'Inghilterra che gli assicurò libertà d'azione in
Manciuria.
Nel 1904 il governo nipponico, preoccupato dell'espansione russa in
Asia (Corea e Manciuria), provocò lo scoppio della guerra russo- giapponese,
nella quale, in diciotto mesi di lotta, la Russia, dopo gravi scacchi in
Manciuria (Mukden), fu costretta a capitolare a Port Arthur, mentre poco più
tardi a Tsushima la sua flotta venne annientata dall'ammiraglio Togo; di
conseguenza il governo zarista dovette firmare il trattato di Portsmouth, negli
Stati Uniti (settembre 1905).
Il Giappone ottenne il protettorato su Manciuria e
Corea (quest'ultimo paese fu posto sotto protettorato nel 1907 e annesso
all'Impero giapponese nel 1910). Nel 1912, alla morte di Mutsuhito, l'era Meiji
ufficialmente era chiusa, ma non certo quella dell'espansione nipponica che
continuò anche con il successivo imperatore Yoshihito (1912-1926), il cui regno
fu detto "era Taisho".
Quando nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, il
governo di Tokyo decise di schierarsi a fianco degli Alleati con l'obiettivo
immediato di impadronirsi dei possedimenti tedeschi in Cina e nel Pacifico. Il 7
novembre 1914 i fucilieri di marina giapponesi penetrarono nella baia navale di
Tsingtao dopo un assedio durato due mesi, mentre le forze navali nipponiche si
erano impadronite già in ottobre delle isole tedesche del Pacifico a nord
dell'equatore: le Caroline, le Marshall, le Marianne.
Nel novembre 1914 il
Giappone aveva terminato le operazioni militari ma, approfittando del momento
favorevole (l'attenzione degli Occidentali era concentrata sul fronte europeo),
aprì un'offensiva diplomatica contro la Cina: il 18 gennaio 1915 il ministro
giapponese a Pechino consegnò a Y¸an Shih-k'ai una lunga lista di richieste,
note con il nome di "ventun domande", il cui accoglimento avrebbe posto lo Stato
cinese in una posizione di vassallaggio. Alla conferenza di Versailles (1919) la
politica del Giappone mirò a ottenere conferma dei suoi diritti in Cina sullo
Shan-tung e sugli ex possedimenti tedeschi del Pacifico; d'altra parte la
guerra aveva impresso uno sviluppo senza precedenti all'industria e al commercio
giapponesi: nel 1919 il Giappone era una delle cinque grandi potenze mondiali.
Sul piano della politica interna, la conseguenza immediata dello sviluppo
economico e territoriale del Giappone fu, con la costituzione del governo Hara
(1918), una decisa sterzata in senso liberale: alla conferenza di Washington del
1922 i Giapponesi acconsentirono a ritirare le loro truppe dallo Shan-tung e
dalla Siberia (dove erano intervenuti in funzione antibolscevica nel 1918) e a
ridurre i loro armamenti navali. Ma la politica conciliante dei liberali aveva
suscitato l'ostilità di alcuni membri conservatori del Consiglio imperiale che
insistevano perchÈ il Giappone continuasse la sua politica di espansione
territoriale sul continente cinese.
Questi elementi aggressivi ed estremisti
avevano un peso decisivo, e imponevano facilmente la loro volontà all'imperatore
stesso che, dal 1926, era il giovane Hirohito, succeduto sul trono a Yoshihito
dopo cinque anni di reggenza, dal 1921 (l'era di Hirohito è detta "Showa
tenno"). Mentre si susseguiva una serie di governi deboli e di effimera durata
(Kato, 1922 e 1924; Tanaka, 1927-1929; Hamaguchi, 1929-1931), nel 1931 un
raggruppamento di estrema destra, la cosiddetta "fazione della Manciuria",
provocò nella regione della ferrovia sudmancese (di proprietà del Giappone) una
serie di incidenti atti a giustificare un intervento militare del governo di
Tokyo. Nel marzo 1932 la Manciuria fu proclamata Stato indipendente con il nome
di Man-chu- kuo: in realtà, essa era diventata una colonia giapponese sottoposta
all'esclusivo controllo dell'esercito, mentre i gruppi finanziari (zaibatsu)
coglievano l'occasione loro offerta di sfruttare le possibilità economiche di
questo vasto territorio popolato da 26 milioni di abitanti.
A partire dal 1932 i sostenitori dell'espansione militare inaugurarono, con l'assassinio del primo
ministro Inukai (maggio 1932), una serie di attentati contro le personalità
giudicate troppo liberali, usando di tutta la loro influenza sul governo di
Tokyo per costringerlo a impegnarsi a fondo in Cina, dove già si era avuto un
primo intervento militare a Sciangai (gennaio-febbraio 1932), con il pretesto
del boicottaggio dei prodotti giapponesi adottato dopo l'occupazione della
Manciuria.
Nel febbraio 1936 si verificarono un colpo di Stato e un nuovo putsch
militare, al quale sfuggì miracolosamente il primo ministro Okada (1934-1936),
mentre il precedente primo ministro Saito (1932-1934) fu ucciso. L'intervento
massiccio in Cina, sostenuto dal nuovo primo ministro Hirota (1936-1937), si
attuò nel luglio 1937, allorché il Giappone decise di affrontare una guerra aperta
con la vicina repubblica dopo cinque anni di ostilità di fatto;
questa nuova aggressione provocò una grave tensione tra Tokyo e Washington. A
Hirota era nel frattempo (dal gennaio 1937) succeduto il principe Konoye,
durante il governo del quale si ebbero periodi di distensione e di
irrigidimento.
Ma l'inizio della seconda guerra mondiale doveva aprire ai
Giapponesi prospettive più ampie. L'adesione del Giappone al patto tripartito
(1940), decisa dopo molte esitazioni da Konoye, e la sua richiesta di basi
militari in Indocina (1940-1941), non potevano non preludere, presto o tardi, a
un'entrata nel conflitto a fianco della Germania e dell'Italia: in questa
prospettiva il ministro degli esteri Matsuoka s'illuse di potere assicurare la
neutralità dell'URSS firmando un trattato con il ministro sovietico Molotov.
Pure, gli alti e bassi della politica giapponese continuarono, insieme con le
trattative con gli Stati Uniti.
Quando però queste ultime parvero rivelarsi
infruttuose, il primo ministro Konoye si dimise e gli succedette (ottobre 1941)
il
generale Tojo, rappresentante del partito della guerra e fautore della
"maniera forte". Il 7 dicembre 1941, senza dichiarazione di guerra, le forze
aeree della marina giapponese attaccarono proditoriamente la base americana di
Pearl Harbor, dopo di che la marina giapponese si assicurò il possesso
dell'isola di Guam, di Wake e dell'arcipelago delle Aleutine, mentre venivano
effettuati sbarchi a Hong-Kong, nelle Filippine e nella penisola di Malacca.
In meno di quattro mesi il Giappone si era assicurato un impero coloniale di 8
milioni di km≤ con 450 milioni di abitanti e i suoi dirigenti potevano pensare
che non fosse lontano il giorno in cui il loro sogno di costruire una "sfera
della comune prosperità della Grande Asia orientale" sarebbe diventato una
realtà.
La solidità delle conquiste nipponiche dipendeva, tuttavia, dal dominio
dei mari, essendo le forze giapponesi disperse su teatri di operazione lontani
dall'arcipelago e uniti tra loro soltanto dal mare. Così, mentre tutte le Indie
Olandesi passavano sotto il controllo di Tokyo, e la stessa Australia pareva
minacciata, insieme con l'India (una parte della Nuova Guinea e della Birmania
erano infatti state occupate), la battaglia navale del mar dei Coralli (4-8
maggio 1942) inflisse un primo duro colpo alla flotta nipponica e cominciò a far
pendere la bilancia a favore degli Alleati: questi ultimi nell'estate del 1943
iniziarono un'offensiva su vasta scala, che li portò gradualmente a
riconquistare il terreno perduto. Dopo la conquista americana di Saipan (1944),
il primo ministro Tojo diede le dimissioni e gli succedette il generale Koiso
(luglio), ma il corso del conflitto non mutò. All'inizio del 1945 la conquista
delle isole di Iwo Jima e di Okinawa assicurò all'aviazione americana basi di
operazioni in prossimità dell'arcipelago giapponese, mentre un'offensiva inglese
partendo da basi indiane liberava la Birmania.
Nell'aprile 1945, anche se ogni speranza in un esito favorevole del conflitto pareva perduta, a capo del governo
fu posto l'anziano ammiraglio Suzuki, considerato più moderato dei predecessori.
Il bombardamento atomico di Hiroshima e di Nagasaki (agosto 1945) evitò agli
Alleati di dover sbarcare sul territorio metropolitano che l'esercito giapponese
sembrava deciso a difendere fino all'ultimo; in quegli stessi giorni l'URSS
entrò in guerra, costringendo le forze nipponiche della Manciuria a capitolare.
Il 14 agosto 1945 ebbe luogo a Tokyo una riunione del gabinetto con l'intervento
personale dell'imperatore, nella quale fu decisa la cessazione delle ostilità.
Come condizione, accettata dagli Alleati, fu posto che il regime imperiale
dovesse continuare a sussistere, e che Hirohito potesse rimanere sul trono.
Le perdite giapponesi ammontavano a questa data a circa 1.800.000 uomini e il 40%
delle sue città era raso al suolo da terribili bombardamenti aerei: l'aviazione
e la flotta (giunta a essere una delle più potenti del mondo) non esistevano quasi più.
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